Manon

È il 1974 quando Kenneth MacMillan (non ancora Sir) crea per il Royal Ballet di Londra (del quale è stato direttore dal 1970 al 1977 e poi coreografo principale fino al 1992, anno della sua prematura morte) Manon, balletto in tre atti su musica di Jules Massenet ed ispirato dal romanzo dell’abate Prévost L’histoire du chavalier Des Grieux et de Manon Lescaut.

Manon è il terzo dei sei grandi balletti drammatici creati dal coreografo scozzese (in ordine: Romeo e Giulietta, Anastasia, Manon, Mayerling, Isadora, The Prince of the Pagodas) e anche in questo i tecnicismi sono seguiti da un ampio respiro drammatico e narrativo.

Manon è una giovane donna amante della vita ma ancora inesperta dei suoi meccanismi. La sua bellezza conquista tutti e, convinta dal fratello maggiore Lescaut, decide di utilizzarla come mezzo per ottenere la tanto agognata ricchezza. Monsieur Guillot de Morfontaine, ricco uomo di mondo, diventa così il suo protettore e amante, ma è con il giovane Cavaliere Des Grieux che Manon conosce l’amore. Manon, tuttavia, non riesce a distaccarsi dalla vita agiata fatta di gioielli, pellicce e serate di gala che Guillot de Morfontaine le offre; Des Grieux, ultimo dei romantici, continua a corteggiarla e a ricordarle il sentimento di amore puro che li lega. Da questo momento la vicenda procede in un climax di inganni, intrighi, tradimenti, morti violente che porteranno all’uccisione di Lescaut, alla deportazione in Louisiana di Manon condannata come prostituta e alla perdita di innocenza di Des Grieux che arriva persino ad uccidere per lei. Neanche a dirlo, come tutti i grandi balletti romantici che si rispettino, la vicenda si conclude con un bellissimo quanto lancinante pas de deux che vede la protagonista morire tra le braccia del suo amato.

Come ha dichiarato lo stesso MacMillan: «Una delle cose che più mi ha intrigato in questo personaggio di Manon è che non sembra esservi della logica nel suo comportamento. In un momento va a vivere con Des Grieux, che lei ama, e il momento successivo lo lascia perdere. La chiave della sua condotta, io credo, si trova nelle sue origini: una famiglia dignitosa, sicuramente, ma modesta e ben presto ridotta alla povertà in quel XVIII secolo dove le fortune si creano e si disfano con la rapidità di un temporale. Ebbene, nella miseria, si finisce per perdere tutta la dignità. E Manon ha talmente paura della miseria! Meno della paura della povertà stessa che della vergogna di essere povera».

Questo balletto, dunque, richiede ai ballerini non solo una forte tecnica, ma un lavoro interpretativo che deve arrivare allo spettatore come vero e sentito. Forse proprio per questo il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma non si era mai avventurato prima in tale sfida. Ad accettarla, invece, questo maggio, è stata la direttrice Eleonora Abbagnato, convinta del fatto che questo balletto sia un passaggio fondamentale per la crescita del Corpo di ballo del Teatro.

Io ho avuto la fortuna e l’immenso piacere di assistere alla rappresentazione del 29 maggio scorso dove la stessa Abbagnato ricopriva il ruolo di Manon affiancata da un poeticissimo Vogel come Des Grieux.

Sontuose le scene e i costumi, toccante partitura eseguita con trasporto dall’orchestra condotta dal Maestro Martin Yates (la musica del Pas de Deux della camera da letto è sublime), bravo e a proprio agio il corpo di ballo tutto (qualche piccola incertezza in alcuni passaggi di insieme, ma assolutamente nulla di così catastrofico vista la portata del balletto).

Da grande fan di Friedemann Vogel quale sono, ammetto di aver comprato il biglietto principalmente per lui. Perdutamente innamorata delle sue linee, dei suoi sostenuti, della sua leggerezza e musicalità. Vogel è uno di quei ballerini che vengono definiti lirici: linee pulite, tecnica impeccabile e grande poesia e romanticismo che emana in ogni suo movimento. Ma d’altro canto stiamo parlando di una delle étoile ospite delle più famose e prestigiose compagnie del panorama internazionale del balletto quali il Teatro alla Scala, l’English National Ballet, il Teatro Mariinskij, il Teatro Bol’soj, lo Staatsballett Berlin, il Wiener Staatsballett, il Tokyo Ballet e altri.

Insomma, Vogel incarna alla perfezione il romantico Des Grieux e ha accompagnato in un magnifico partneraggio Eleonora Abbagnato nel ruolo di Manon. La chimica e la poesia portata in scena durante i loro passi a due è stato un qualcosa di estremamente suggestivo. La tecnica si intrecciava alla poesia e la musica sottolineava il tutto; impossibile staccargli gli occhi di dosso, le due étoiles hanno saputo regalare vere e forti emozioni come solo i grandi artisti danno fare.

Un bravo anche al giovane Giacomo Castellana, freschissimo di promozione a Solista, nei panni di un Lescaut esplosivo ed ammaliante al contempo.

Un grazie sentito e di cuore come assidua frequentatrice dell’Opera di Roma e amante del balletto devo farlo a Eleonora Abbagnato che, da quando ha assunto il timone del Corpo di Ballo, ha portato una ventata di freschezza e innovazione creando una compagnia dinamica e in costante crescita (numerose sono state le promozioni sotto la sua direzione), offrendo al pubblico interessanti nuove prime produzioni e presentando importanti artisti ospiti.

Questa Manon è la vittoria definitiva del suo lavoro come direttrice, a dimostrazione che la grande danza di qualità è possibile anche all’Opera di Roma, teatro per troppo tempo ritenuto mediocre.

Un esempio della volontà della direzione della Abbagnato di essere al passo con i tempi è stato anche l’addio alle scene del Primo ballerino Manuel Paruccini, festeggiato in gran trionfo alla fine della rappresentazione del 31 maggio e non in sordina.

Spero che questo bel clima di arte e cultura si respiri anche nella prossima stagione 2018/2019 che verrà annunciata tra pochi giorni. Attendo fiduciosa.

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Entusiasta dell'arte in tutte le sue forme. Vado spesso a teatro e poi ve lo racconto.

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