Bolle e Nunez_pdd III atto

Onegin è un balletto in tre atti e sei scene coreografato da John Cranko su musiche di Cajkovskij e ispirato all’omonimo romanzo in versi di Puškin.

Dalla gestazione travagliata, Onegin è divenuto poi uno dei balletti simbolo dello stile Cranko.

Come tutte le novità che rompono con la tradizione, infatti, la sua nascita non è stata semplice. Cranko si avvicina al mondo di Onegin per la prima volta quando, nel 1952, gli viene affidato il compito di coreografare le scene danzanti dell’omonima opera di Cajkovskij per conto dell’Opera di Londra. Rimasto folgorato dalle possibilità coreografiche ispirategli dal romanzo, iniziò a pensare come poterlo trasformare in un balletto tangibile. Pubblico e critica inglesi, però, non erano entusiasti all’idea di vedere l’opera di Cajkovskij ridotta a balletto, preoccupati del fatto che un tale lavoro ledesse il glorioso lavoro del compositore russo.

Cranko ripose nel cassetto il progetto e vi ritornò su solo in seguito alla sua consacrazione artistica come direttore del Balletto di Stoccarda, avvenuta con il suo Romeo e Giulietta nel 1962. Onegin prende vita e viene rappresentato per la prima volta a Stoccarda nell’aprile del 1963, ma il lavoro finale è diverso da come lo aveva immaginato il coreografo stesso. Nonostante l’immediato successo, Cranko rimise mano al suo stesso lavoro, e la versione definitiva (quella rappresentata ancora oggi) ebbe la sua prima a New York nel 1969 con enorme successo di critica e a discapito dell’infausto pronostico di Balanchine – quest’ultimo, inorridito al pensiero di tradurre in danza il lavoro puskiniano, dichiarò:

“Come si può danzare Onegin? E come mai nessuno finisce in galera per questo?”.

Cranko non solo non finì in galera, ma ottenne un successo e un riconoscimento pressoché unanimi per questo lavoro, ritenuto uno dei suoi capolavori indiscussi.

Effettivamente tradurre in danza il romanzo di Puškin non è compito semplice: la storia è raccontata da un narratore onnisciente ed eterodiegetico, ossia esterno alla storia, non coinvolto direttamente nei fatti. I personaggi hanno un complesso substrato psicologico e l’evoluzione di Onegin e Tatiana rende il romanzo un capolavoro della letteratura russa che ben si discosta dai romanzetti d’amore d’intrattenimento.

Come abbiamo accennato, il nostro coreografo sudafricano riesce perfettamente nell’impresa di rendere giustizia al romanzo. Formatosi alla scuola inglese di De Valois prima e di Ashton poi, Cranko fa sua quella volontà (tipica della scuola inglese) di rendere sempre fluido e costante l’intreccio tra coreografia e narrativa, non soffocando la seconda con meri e algidi sfoggi di tecnica privi di sentimento e comunicazione. Alla metodologia classico-accademica della tradizione, inoltre, contrappone immagini e movimenti più moderni e quotidiani, riuscendo così a trasmettere allo spettatore tutto lo spessore psicologico dei personaggi della storia.

La forte contrapposizione tra attimi di sospensione statica e il crescendo della musica (pensiamo ai trattenuti in arabesque di Lenskij nel suo assolo che precede il duello con Onegin) o l’esplodere di movimenti esasperati e forti (il passo a due del sogno di Tatiana o l’abbraccio di Onegin nel passo a due del terzo atto) rendono chiaramente il tormento vissuto da ogni protagonista. Grande valore ha poi, nelle opere di Cranko, il gesto teatrale, di pregnante importanza per quanto riguarda la narrazione (lo sguardo che Tatiana rivolge ad Onegin in seguito all’infausto duello con Lenskij e la successiva presa di coscienza di Onegin).

Ogni singolo passo e gesto hanno un significato ben preciso e funzionale alla narrazione, persino le piccole scene buffe servono a creare tensione e a marcare ancora di più il dramma che si consumerà di lì a poco.

Se già non fosse abbastanza, Onegin è anche ricco di simboli e topoi della tradizione letteraria: la doppia valenza dello specchio e del sogno, giusto per citarne un paio.

In sintesi, un crescendo e un turbinio di emozioni che Cranko è riuscito alla perfezione a tradurre nella lingua di Tersicore.

Il tutto sottolineato dalla musica di Cajakovskij, ma non quella dell’opera Evgenij Onegin, bensì un’orchestrazione patchwork cucita dal compositore fidato di Cranko, Kurt-Heinz Stolze.

Domenica 10 novembre ho assistito a una pagina della storia della danza: al Teatro alla Scala di Milano Roberto Bolle e Marianela Nuñez hanno portato in scena il tormentato amore di Onegin e Tatiana.

Roberto Bolle è il ballerino-idolo con il quale la piccola me è cresciuta e, dopo averlo visto in diversi gala, poterlo finalmente veder ballare in un intero balletto (alla Scala, per di più) è stato bellissimo. Praticamente nato per i ruoli da nobiluomo.

Se mi conoscete o non siete nuovi su questo blog, già sapete del mio immenso amore per Marianela Nuñez, che al momento reputo la miglior ballerina all’attivo. Una vera interprete e artista come poche.

Bolle e Nuñez insieme sono qualcosa di indescrivibile. Emozione ed arte all’ennesima potenza impossibili da tradurre in parola. Vederli ballare insieme è stato davvero il coronamento di un sogno.

Bravissima anche la coppia Lenskij/Olga di Claudio Coviello e Agnese Di Clemente. L’assolo di Lenskij del secondo atto è stato trasformato da Coviello in pura poesia. Eccelso.

Un bravo generale all’intero Corpo di ballo del Teatro alla Scala così come all’allestimento. Una sontuosa e perfetta produzione di cui andare largamente fieri.

Share:

53 Posts

Entusiasta dell'arte in tutte le sue forme. Vado spesso a teatro e poi ve lo racconto.

Leave a reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *