Don Chisciotte TOR

La versione del Don Chisciotte di Laurent Hilaire (étoile parigino, attualmente direttore artistico dello Stanislavsky Ballet di Mosca), ispirata a quella di Mikhail Baryshnikov per l’American Ballet Theatre e a sua volta tratto dalle versioni di Marius Petipa e Alexander Gorsky, ha chiuso la stagione ballettistica 2018/2019 del Teatro dell’Opera di Roma.

Questa colorata e immaginosa versione – che aveva inaugurato in prima mondiale la scorsa stagione; ve ne ho parlato QUI – continua a spaccare in due critica e pubblico a causa soprattutto dell’atipico allestimento. Scene e costumi sono firmati dall’artista Vladimir Radunsky (scomparso prematuramente lo scorso anno), fortemente voluto nel progetto da Baryshnikov stesso.

Il sipario si apre e la scenografia, essenziale ma coloratissima, catapulta lo spettatore come in un libro pop-up. La narrazione prende atto e i policromatici personaggi della storia danzante fanno la loro comparsa in scena.

Come tutte le coraggiose novità che si discostano dalla polverosa tradizione, ci vuole tempo affinché questo lavoro venga capito, digerito ed apprezzato. Devo dire che, rispetto alla prima visione dello scorso anno, scene e costumi non mi hanno disturbato così tanto. Rendono perfettamente l’idea di favola e sogno, restituendo quella sensazione di fantasioso che permea tutta l’opera di Cervantes.

In realtà analizzando a mente fredda i costumi ci si rende conto che, a parte alcuni casi, gli altri erano piuttosto centrati: la caratterizzazione dei personaggi-mimi era accentuata e valorizzata da questi, così come i toreadores e i variopinti gitani; tutto il secondo atto era un sogno (costumi, luci, scenografia), mentre un po’ perplessa mi ha lasciato la scelta dei costumi per il corpo di ballo femminile nel primo e terzo atto, non sempre valorizzato ed aiutato nei movimenti. Nel complesso, però, nulla di così tragicamente aberrante.

La versione di Hilaire è fedele a quella estremamente attoriale di Misha, dove la tecnica teatrale è messa al servizio di un’azione che dovrebbe risultare naturale. Per quanto riguarda le coreografie, oltre ad aver rimaneggiato la sezione delle Danze Gitane, ha reinserito parti che erano state tagliate da Baryshnikov, come ad esempio il Fandango. Restano, invece, le variazioni delle damigelle d’onore e la complicatissima variazione di Basilio nella scena della locanda.

A prescindere dalla versione e dall’allestimento, ad ogni modo, ciò che rende un balletto un successo o meno è soprattutto la presenza e la bravura degli interpreti. Quest’anno sono stata presente a ben due recite: le serali di giovedì 17 e sabato 19 ottobre.

Don Chisciotte_sogno

In generale, rispetto allo scorso anno, ho trovato tutta la compagnia visibilmente cresciuta artisticamente e tecnicamente, sebbene la differenza tra le due serate si è sentita.

Giovedì 17 gli ospiti d’onore della serata erano Evgenia Obraztsova (Prima Ballerina del Bolshoi di Mosca) e Davide Dato (Primo Ballerino del Vienna State Opera), rispettivamente nel ruolo di Kitri e Basilio. Dalla russa tecnica invidiabile, la Obraztsova è stata impeccabile nel più classico secondo atto, mentre alcune incertezze hanno leggermente macchiato il primo e il terzo atto. Ciò denota la bellezza del teatro: sul palco ci sono esseri umani e non macchine programmate per essere perfette. Certo, ricoprire determinati ruoli ha i suoi onori e oneri, ma il vero professionista si vede anche nei momenti di cedimento: la Obrazstova ha infatti recuperato e mascherato ogni cedimento (compresi i fouettés nella coda del III atto) con una presenza scenica ammaliante.

Davide Dato, dal canto suo, è stata la vera stella della serata. Meraviglioso e inappuntabile, non ha sbagliato un passo né una chiusura, sfoggiando una tecnica, una musicalità e una presenza scenica che solo pochi ballerini possono vantare. Peccato che l’Italia spedisca all’estero tanti invidiabili artisti nostrani!

Marianna Surano, nel ruolo della Regina delle Driadi, si è riscatta rispetto allo scorso anno: brava. Deliziosa Flavia Stocchi nelle vesti di Amore; Claudio Cocino potente Espada. Graditissimo il ritorno dell’istrionico Manuel Paruccini nelle vesti di Gamache.

Paruccini Gamache

Decisamente sottotono, invece, la serata di sabato 19. Restano presenti Cocino e Stocchi negli stessi ruoli, mentre Federica Maine è la soddisfacente Regina delle Driadi della serata. Gamache è Andrea Forza, che non riesce a non farmi sentire la mancanza di Paruccini.

Rebecca Bianchi, étoile del Teatro romano, ha avuto un’altra serata decisamente no: completamente assente sul piano interpretativo, sembrava agitata come una debuttante. Disastri e sfighe si sono susseguiti per tutti e tre gli atti. Ad affiancarla – mettendola praticamente in ombra – il Primo Ballerino dell’Opera parigina, François Alu. Per quanto esplosivo e dall’elevazione che ha mandato in visibilio il pubblico romano, per i miei gusti si è dimostrato un porter un po’ troppo egocentrico che non ha fatto nulla per mascherare l’affiatamento praticamente inesistente con la sua ballerina.

Nel complesso, nonostante tutto, Don Chisciotte è sempre un piacevole ritorno in cartellone: gioioso, allegro e frizzante. Merito anche delle musiche di Minkus che, per quanto non alla pari della grandezza poetica di Cajkovskij o Prokofiev, riescono a far ballare anche il più coriaceo degli spettatori. Per il prossimo futuro non ci resta che sperare in un nuovo allestimento più fedele all’originale e in una continua crescita artistica della compagnia.

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Entusiasta dell'arte in tutte le sue forme. Vado spesso a teatro e poi ve lo racconto.

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